venerdì 26 luglio 2013

Quell'infuocata estate a Milano




Faceva caldo, molto caldo. Non si trattava di un'eccezionale ondata climatica, non era il sole a preoccupare migliaia di milanesi ma ciò che dall'alto pioveva a 'grappoli'. Era l'estate del '43 quando Milano fu bombardata dagli Alleati.

In questi giorni, in occasione del settantesimo anniversario della liberazione dell'Italia dal Fascismo, mi sono imbattuto in pagine di storia relative all'estate del 1943.

Prima il famoso 'Ordine del Giorno' presentato dagli ex-fidi Grandi, Bottai e Ciano al Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio del '43 con la richiesta di ripresa del potere da parte del Re, poi l'arresto di Mussolini ed in ultimo i grandi tentennamenti e le ambiguità del Governo Badoglio, rappresentarono la cronaca politica di quell'estate, conclusasi con l'armistizio di Cassibile sottoscritto dallo stesso Badoglio il 3 settembre del '43.

Ma in quell'arco di tempo, in quel vuoto governativo e decisionale il Paese fu lasciato in balia degli assalti degli Alleati, pronti a stanare le ultime resistenze prima di quella resa italiana, sancita e annunciata colpevolmente con un mese di ritardo.

Proprio di questo breve ma intenso periodo i milanesi ricordano la cosiddetta 'settimana d'inferno': nei primi giorni di agosto 870 aerei inglesi gettarono oltre 1400 tonnellate di bombe che colpirono il 50 per cento degli edifici della città, distruggendo un terzo dell'area edificata. L'obiettivo era polverizzare il maggiore centro industriale ed economico del Paese, cercando di costringere così l'Italia ad uscire dalla guerra, dopo la caduta del fascismo, ed accettare la resa. 

La notte del 13 agosto furono sganciati 220.000 spezzoni incendiari, ma fortunatamente la natura climatica della zona - l'elevata umidità tipica della Pianura Padana - per una volta è venuta in soccorso dei malcapitati milanesi e fortunatamente grazie all'urbanistica (piccoli quartieri separati da grandi viali) il fuoco non distrusse completamente la città.  
Se Il Teatro alla Scala e molti stabilimenti industriali vennero distrutti, fu invece risparmiato il Duomo e parzialmente il Castello Sforzesco, Santa Maria delle Grazie e il Palazzo Reale, mentre la viabilità (tram e filovie inutilizzabili) fu messa completamente in ginocchio: mezzo milione di persone furono costrette ad abbandonare la città.
Di quelle lunghe settimane oggi è difficile trovare traccia in città, se non nei ricordi personali. Tante storie dei ragazzi dell'epoca - oggi ultraottantenni - sono rimaste inascoltate ed è raro scovare angoli di strada che ricordino quanto accaduto.
Ai milanesi mancano le storie di quei bimbi arrampicati sui tetti per gettare via gli spezzoni incendiati, le corse nelle fogne, gli incontri nei grandi parchi e gli scavi tra le macerie, tutti racconti meritevoli di ampie platee e altra considerazione.   
Sarebbe opportuno far rivivere la storia, quelle storie. In una fase tanto 'povera' culturalmente ed in un momento di assenza di riferimenti, sarebbe l'occasione giusta per riannodare i fili, ritrovare il legame col territorio e riavvicinare generazioni sempre più distanti.

In un'estate calda come quella in arrivo a Milano sarebbe opportuno fermarsi ad ascoltare le parole dei 'nonni della periferia', quelli che in una lingua quasi incomprensibile sarebbero in grado di far rivivere quelle settimane alla perfezione, sorridendo amaramente di fronte alle preoccupazioni climatiche dei frettolosi passanti, banali in confronto a quell'infuocato agosto del '43.

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