venerdì 15 novembre 2013

Da Oriente ad Occidente: la via delle riforme



In questi giorni i mercati finanziari asiatici attendevano con ansia l’esito del Terzo Plenum del Comitato centrale del partito comunista per comprendere meglio gli obiettivi e gli strumenti da utilizzare per consentire al colosso cinese di proseguire l’espansione che negli ultimi trent’anni  ha spinto il Pil nazionale da un valore di circa 60 miliardi di dollari del 1979 ai 9 mila miliardi del 2012.

Ci si attendeva un piano più dettagliato, mentre la sintesi del lungo incontro affida al “mercato” il ruolo primario nella redistribuzione delle risorse.

I punti chiave del nuovo progetto economico che si concluderà nel 2020 sono la promozione della riforma delle terre agricole e la ridefinizione del sistema fiscale con una piano di redistribuzione del reddito, mentre non si entra nello specifico dei cambiamenti nel sistema bancario, della tassazione, del welfare, della convertibilità della propria valuta e dell’abbandono del sistema del figlio unico.

L’assenza di un piano minuzioso ha immediatamente penalizzato le borse, soprattutto quella cinese, di fatto togliendo uno dei potenziali elementi capaci di avviare un rally degli indici dei Paesi Emergenti, che nell’ultimo anno non sono riusciti a seguire i guadagni realizzati invece in America, Europa e soprattutto Giappone che, grazie all'Abenomics e cioè alla ricetta del Primo Ministro Abe, è riuscito a risollevarsi dopo 15 anni di deflazione, stagnazione economica e torpore finanziario.

Le stesse riforme dovranno essere completate in Europa – certamente con obiettivi economici differenti e riferimenti sociali più avanzati – che ancora risulta vulnerabile agli occhi internazionali, in considerazione dell’assenza di una coesione economico-sociale e di una stabilità delle finanze pubbliche.

Tutto ciò è racchiuso nel messaggio di allarme lanciato dal premio Nobel Stiglitz visto che, con tutta probabilità, nel Vecchio Continente si riuscirà ad attuare nel breve solo interventi minori e limitati.

L’unione bancaria è un obiettivo possibile, meno gli “eurobond”; il parziale allentamento dell’austerity è ormai divenuto non improbabile, meno il dimezzamento della disoccupazione dell’area; investire in istruzione e innovazione tecnologia è un obiettivo comune e realizzabile, ma difficile credere di poterlo perseguire con riforme a livello solo embrionale e ancora di scarso impatto sui conti degli Stati.

Da Oriente ad Occidente è evidente l’ambizione di due colossi economici tanto diversi tra loro ma, soprattutto, equidistanti dalla politica monetaria e fiscale statunitense, incentrata più sulle necessità di breve periodo che su macro riforme.

In America, nonostante la situazione macro-economica sia positiva a dispetto di un mercato del lavoro ancora sotto pressione, la scelta espansiva rimane inalterata, il cosiddetto 'tapering' non è stato ancora avviato e l'arrivo della Yellen a capo della FED non potrà che essere garanzia di ulteriori stimoli di breve e di tassi fermi ancora per molto tempo, a riprova della volontà di sostenere direttamente e a lungo la finanza americana.

Tuttavia, gli Stati Uniti, pur godendo di un vantaggio competitivo accumulato in decenni trascorsi al comando dell’economia mondiale, continuano a sottovalutare i rischi evidenziatisi con il “crack Lehman”  ed a ritardare una riforma trasparente del “mercato”, quello che oggi sembra guida e che domani potrebbe diventare improvvisamente qualcosa di incontrollabile.

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