martedì 24 settembre 2013

Un Paese 'contendibile'




La parola maggiormente utilizzata negli ultimi quindici anni ogniqualvolta si parlava del comparto telefonico italiano è sempre stata 'contendibilità' e cioè quella peculiare caratteristica (manageriale e contabile) societaria che la rende appetibile agli occhi dei suoi concorrenti.
Telecom Italia è sempre stata contendibile e quindi oggetto delle osservazioni altrui per ragioni differenti: il suo ampio raggio d’azione geografico, la diversificazione del business ed il valore del circolante.
Dopo l'ingresso nel capitale ormai da qualche anno, la chiusura dell’acquisizione da parte di Telefonica è parsa logica a tutti gli addetti ai lavori, ma ha sorpreso incredibilmente molti, sopratutto tra i politici. 
Da oggi la compagnia spagnola sarà l’azionista di maggioranza relativa, possedendo una fetta totale dell’azienda non superiore al 15% e potendo salire al 23% e da lì controllare un colosso di 40 miliardi di debiti.
Telefonica con un esborso limitato e finanziato dalle banche investitrici uscenti avrà modo di gestire la divisione wireless (TIM) italiana, ma sarà costretta a vendere l’affiliata brasiliana (un gioiellino!) per norme concorrenziali. Sul business internet e voce tutto è ancora da definire con i dubbi legati alla gestione della rete (strategica a livello nazionale) e alla ridefinizione delle tariffe (roaming e non).
E per gli oltre 80.000 dipendenti cosa cambierà? Nel breve non molto, ma nel medio termine la ristrutturazione obbligata riguarderà anche la forza lavoro, le sinergie di costo e le duplicazioni. Questo è un destino che riguarderà tutte le aziende italiane internazionalmente contendibili.
Qualunque sia il prossimo settore (bancario?) di interesse per ulteriori investitori esteri è importante discutere non tanto sulle motivazioni che suggeriscono la 'scalata', quanto il perché dell’assenza di una classe industriale capace di difendere l'italianità e mettere in luce i ‘gioielli’ nostrani.
Nel  settore delle telecomunicazioni già da anni avevamo lasciato ad altri la gestione del business dopo i flop di Colaninno, Tronchetti Provera e l’avvento di inglesi e cinesi, lo stesso dicasi per il lusso venduto in gran parte ai francesi in mancanza di un agglomerato capace di difendere il valore del ‘made in Italy’, ma solo in presenza di tanti 'marchi' desiderosi di primeggiare individualmente, mentre per il vettore Alitalia conosciamo tutti la farsa con cui ai francesi è stato concesso di rilevare l’azienda a costo pressoché nullo.
Ciò che è ‘contendibile’ per gli altri, per il sistema finanziario e industriale italiano è un peso. E’ inutile chiedere l’intervento politico ad affare concluso: è solo un tentativo per nascondere le magagne e le colpe di un Paese in profondo declino, ostaggio degli egoismi personali.

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